Conoscere Per Formulare E Comunicare Le Strategie Il Ruolo Del Business Plan

Description
Conoscere Per Formulare E Comunicare Le Strategie Il Ruolo Del Business Plan

sinergie, rivista di studi e ricerche Ricevuto: 18/03/2013
n. 92, Settembre-Dicembre 2013, pp. 69-91 Revisionato: 21/04/2013
ISSN 0393-5108 – DOI 10.7433/s92.2013.05 Accettato: 19/09/2013
Conoscere per formulare e comunicare
le strategie: il ruolo del business plan

GIOVANNA MARIANI
*

Abstract

Obiettivi: La finalità del lavoro è quello di rilevare i knowledge drivers che il business
plan deve contenere secondo l’ottica del redattore e dell’investitore per supportare la
valutazione della fattibilità dell’operazione e l’analisi del livello del rischio, nel caso di M&A
e di operazioni di turnaround.
Metodologia: Le tesi sono argomentate con un’analisi della bibliografia, completate con
considerazioni emerse da interviste rivolte alle due tipologie di attori.
Risultati: I risultati mostrano che il business plan costituisce ancora un basilare
strumento di conoscenza per supportare una consapevole formulazione delle strategie e per
trasmettere tale conoscenza, comunicando appunto le strategie agli stakeholders, soprattutto
in un’ottica di allineamento informativo tra il redattore ed il finanziatore.
Limiti della ricerca: Le considerazioni che emergono potrebbero trovare ulteriore
supporto di informazioni e di significatività con un’indagine empirica svolta su altre
operazioni e ad altri attori interessati al processo di business planning.
Implicazioni pratiche: Si potrebbe osservare che il maggior contributo del lavoro è
proprio sul piano pratico, in quanto presenta una metodologia operativa.
Originalità del lavoro: La tematica in oggetto presenta indubbiamente un ampio sviluppo
in letteratura. Si può, comunque, rilevare una certa originalità proprio sul piano del
contributo operativo, ma anche in merito al rilievo strategico.

Parole chiave: business plan; rischio; M&A; turnaround management; private equity

Purpose of the paper: The aim of this study is to detect knowledge drivers that business
plan should include in the editor’s and the investor’s perspectives to assess the feasibility of
the operation and risk level in M&A and turnaround activity.
Methodology: Theses are argued with an analysis of the literature with the support of
considerations of some interviews with the two types of actors.
Findings: The results show that business plan is still a tool of knowledge to support a
conscious strategies formulation and to get to stakeholders across, with particular attention
to alignment information between the editor and investor.
Research limits: Limitations of the research and considerations that emerge may find
additional support information and significance with an empirical study carried out on other
operations and other stakeholders in the process of business planning.

*
Ricercatore Confermato di Finanza Aziendale- Università di Pisa
e-mail [email protected]
CONOSCERE PER FORMULARE E COMUNICARE LE STRATEGIE: IL RUOLO DEL BUSINESS PLAN 70
Practical implications: It could be argued that the major contribution of the work is just
on a practical level, because it presents a methodology.
Originality of the work: The issue in question has undoubtedly extensive literature. You
can still detect a certain originality in terms of its contribution to operational and on strategic
role.

Key words: business plan; risk management; M&A; turnaround management; private equity

1. Sintesi della letteratura e domande di ricerca

Il primo dubbio che può assalire, legittimamente, un lettore che dovesse
incuriosirsi a tale lavoro è: cosa si potrà mai dire di nuovo sul business plan? Solo
digitando il termine business plan su qualsiasi motore di ricerca si corre il rischio di
spaventarsi dai riferimenti, di varia natura, che è possibile consultare a tale riguardo.
Eppure, nonostante ciò, il dilemma, il dibattito, sull’utilità o no di tale strumento di
pianificazione è sempre alquanto vivace, soprattutto sul piano internazionale, sia tra
gli scholars che tra i practitioners. La questione sul to be or not to be del business
plan ha decisamente creato una spaccatura tra i sostenitori e coloro che, invece,
ritengono che esso abbia oramai fatto il suo tempo e che debba essere soppiantato da
nuovi modelli di pianificazione strategica, più sofisticati sul piano quantitativo
1
, che
siano in grado di catturare il più ampio ventaglio possibile di variabili, ma che
soprattutto siano atti a gestire, in modo predittivo, l’elevata incertezza del mercato
(Kuehn et al., 2009).
Ad oggi, dunque, la letteratura si divide tra coloro che non riconoscono alcuna
utilità del business plan per l’imprenditore (The learning school), e quelli che,
invece, ne promuovono ancora la sua validità (The planning school), anzi
investendolo di una valenza strategica, soprattutto in fasi critiche del ciclo di vita
dell’impresa (Borges et al., 2013). Secondo i primi (tra cui Bewayo, 2010;
Brinckmann et al., 2010; Lewitt e March, 1988; Sahalmn, 2007; Timmons e
Spinelli, 2007), il business plan ingesserebbe l’iniziativa, la genialità, l’inventiva
dell’imprenditore, il quale per redigere il progetto è distolto dai suoi fondamentali
compiti: ricercare nuovi clienti, progettare un’efficace supply chain e, soprattutto se
trattasi di scienziato-imprenditore, progettare nuovi prodotti. Il gap culturale in
termini di business management che, in genere, contraddistingue un imprenditore di
formazione scientifica renderebbe il progetto impegnativo ed inutile, time
consuming e quindi costoso (Lee, 2000).
Il business plan, visto strumentale solo ad una funzione di fund raising, può
risultare un mero assemblaggio di assumptions, sottoposte poi ad un arduo processo
di stima e quindi con un elevato margine di errore (Sahalmn, 2007; Timmons e
Spinelli, 2007). Honig e Karlsson (2001, 2004), hanno difatti osservato che molti

1
Nell’ambito della pianificazione in condizioni d’incertezza si stanno sviluppando
numerosi modelli di programmazione lineare stocastica. Si vedano, tra gli altri:
Brandimarte, 2006, e Aliprantis e Chakrabarti, 2000.
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imprenditori redigono il business plan “…because they feel obligated to do so”.
L’imprenditore indotto alla pianificazione, soprattutto per legittimare il suo
business, è portato a fornire un’immagine positiva che potrebbe indurre un
atteggiamento di “superstitious learning”. Lewitt e March (1988) sostengono che il
promotore dell’iniziativa potrebbe a sua volta convincersi di certi scenari
(“emotional involvement”, Gumbert, 2002), e assumere comportamenti dannosi, con
risultati deludenti.
Sul piano opposto si pone The planning school (Armstrong, 1982; Karlsoon e
Honig, 2009; Bewaio, 2010), in cui si riconosce al business plan una duplice valenza
strategica. Il team imprenditoriale riesce ad “immagazzinare” conoscenza per
supportare una consapevole formulazione delle strategie e trasmettere tale
conoscenza, comunicando appunto le strategie agli stakeholders, nel senso ampio
del termine, per coinvolgerli attivamente nella realizzazione delle stesse. Occorre
ricordare a tale proposito che le economie moderne si stanno rapidamente evolvendo
verso schemi learning economies (OECD, 1996), in cui s’impone la visione
knowledge-based dell’impresa (Pinch et al., 2003). Secondo tale orientamento la
competitività di lungo periodo di un’impresa è fortemente condizionata dalla sua
abilità di creare conoscenza, di innovare i suoi processi produttivi e di apprendere
continuamente. I leader sono quelle imprese che investono maggiori risorse nei
processi di ricerca, di apprendimento delle nuove tecnologie e nell’innovazione. La
conoscenza, un processo o struttura dinamica attraverso cui l’informazione può
essere “stored, processed and understood” (Howells, 2002), diventa quindi un asset
complesso e multidimensionale la cui diffusione richiede articolati processi
cognitivi. Il business plan rappresenta, quindi, un asset per l’impresa in quanto esso
consente di supportare un processo di autovalutazione ai fini decisionali, soprattutto
in fase di costituzione e nelle operazioni strategiche (M&A e Turnaround), di
sviluppare un sistema di programmazione e di controllo delle attività nonché di
condivisione delle scelte con gli altri players: il tutto per supportare una consapevole
formulazione e sviluppo delle strategie (Schaefer, 2011). Nel Piano l’imprenditore
ha la possibilità di “edificare” in modo dettagliato l’intera operazione. L’obiettivo
principale, quindi, è quello di giungere ad una conoscenza approfondita di tutte le
problematiche che investono l’impresa a 360°, di definire, altresì, un quadro
abbastanza completo di tutti i rischi e le incertezze connesse all’iniziativa, ma
soprattutto di perfezionare un processo cognitivo per la valutazione della concreta
fattibilità del progetto (Sarasvathy, 2001). Il business plan, inoltre, in fase di
realizzazione del progetto diventa un “segnalatore di direzione”, una bussola per lo
svolgimento delle attività, fornendo una base per lo scheduling di tutte le singole
operazioni. Con esso è possibile ricostruire una roadmap delle attività da sottoporre
poi a confronto con i dati a consuntivo che progressivamente si perfezionano, per
rilevare eventuali gaps, sulla base dei quali rivedere le assumptions formulate e
ipotizzare nuovi scenari (Gendrom, 2004; Ferrandina e Carriero, 2010; Ford et al.,
2008; O’Connor, 1998). Il business plan, difatti, non deve essere visto come un
modello da compilare che esprime uno status quo, ma esso richiede un
“atteggiamento processuale” di una realtà in divenire. (Correale e Penco, 2005;
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Mariani, 2012a). Il Piano è un processo dinamico (Thomsen, 2009), che ha proprio
il compito di stimolare il redattore (il team imprenditoriale, il management, etc.) a
rilevare la necessità di “cambiare rotta”, di riformulare scelte strategiche, di rivedere
le assunzioni, quando l’iniziativa è ancora sulla carta. Il business planning può
svolgere un ruolo aggregante e motivazionale, esso, difatti, comporta l’esame di tutti
gli aspetti gestionali, anche di quelli che potrebbero apparire non influenzabili
direttamente dal progetto; con esso tra l’altro, si mira alla condivisione delle scelte
da parte di chi in azienda vive (Baccarani, 2009), a diffondere un concreto senso di
motivazione e fiducia. Quando il business plan è riconosciuto come strumento di
guida gestionale, le imprese ne traggono effetti positivi sul processo di creazione di
valore (Lumpkin et al., 1998).
Un’indicazione di tale importanza è data dal fatto che, seppur in modo
approssimato, ogni anno sono redatti circa 10 milioni di business plan nel mondo
(Gumpert, 2002). Anche in contesti economici più evoluti, come appunto quello
statunitense, è stata evidenziata una certa correlazione tra l’uso a redigere il business
plan ed il tasso di fallimento delle piccole unità: le minori imprese che hanno
sviluppato una più consolidata cultura a tale metodologia di pianificazione hanno
rilevato migliori risultati (Perry, 2001). Esso gioverebbe al coordinamento interno e
al controllo delle attività riducendo il tasso di fallimento (Karlosoon e Honig, 2009).
Dopo decenni di stimolo culturale su tale metodologia, molti programmi accademici
e professionali di formazione imprenditoriale (Katz, 2007, Baum et al., 2007, Kuehn
et al., 2009) contemplano, difatti, l’insegnamento del business plan process e
normalmente trovano come momento conclusivo proprio la stesura di un piano
imprenditoriale, al punto che Katz e Green (2007) parlano di ubiquitous business
plan. In tale direzione diverse ricerche (Gendron, 2004; Karlsoon e Honig 2009),
sottolineano il fatto che il mondo imprenditoriale ha ormai metabolizzato l’assioma
che il business plan debba essere riconosciuto come basilare momento di
autovalutazione e come strumento di comunicazione che consente una legitimacy
(Karlsoon e Honig, 2009) all’esterno del business. La sua funzione di strumento
comunicativo, soprattutto con i finanziatori, ha rappresentato la motivazione
prevalente della sua nascita, diffusione e del successo raggiunto all’interno del
sistema economico internazionale.
Una delle valenze strategiche del business plan è proprio quella di favorire il
processo cognitivo esterno degli stakeholders per coinvolgerli attivamente
nell’operazione oggetto di analisi (Hormozi et al., 2002), per contribuire a creare
fiducia negli interlocutori esterni al progetto (Baccarani, 2009). Esso costituisce,
indubbiamente, il documento centrale mediante il quale l’imprenditore è in grado di
rendere chiare e leggibili idee che altrimenti potrebbero rimanere vaghe. Passare
dalle idee alla definizione del fabbisogno finanziario, alla quantificazione dei
probabili ritorni finanziari e della successione temporale degli stessi (Carlesi, 1999),
costituisce un primo “biglietto da visita” per la comunità finanziaria (Lee, 2000), per
la quale diventa, inoltre, basilare la valutazione della capacità di credito dell’impresa
sul medio-lungo termine. La ricerca dei finanziamenti da parte delle imprese di ogni
dimensione necessita sempre più della presentazione di un business plan, sia per i
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finanziatori di private equity (Anderson, 2000), per i quali costituisce un must, ma
anche nei rapporti con il mondo bancario (Bruns, 2004). Considerando l’ampio
ventaglio di attori interni ed esterni alla compagine aziendale interessati al
contributo conoscitivo del business plan diventa legittimo porsi il quesito su quali
debbano essere le informazioni basilari e puntuali da produrre e da trasmettere
affinché si possa soddisfare una delle finalità del processo di planning: la
conoscenza per la comunicazione. Pur rilevando che il business plan sia
tradizionalmente associato ad una situazione di start-up, esso può svolgere un
basilare contributo come knowledge driver in ogni attività lungo il ciclo di vita
dell’impresa (Mariani, 2012a). Passando, infatti, dal tradizionale business plan in
fase di start up (spin off), esso costituisce un processo basilare in un’impresa going
concern per la valutazione di una nuova iniziativa, per il lancio di un nuovo
prodotto, per la diversificazione di mercati geografici, per giungere, poi, al suo
basilare contributo nelle operazioni di corporate finance, come nelle M&A, nelle
IPO, nel turnaround, nei processi di ristrutturazione, nelle partnership industriali e
commerciali di una certa portata.
L’obiettivo del presente articolo si inserisce in questo ampio dibattito della
dottrina e focalizza l’analisi sulle specificità del processo di planning in due delle
operazioni di maggiore criticità delle imprese going concern, quali l’expansion e il
turnaround. Si tratta di operazioni complesse, di natura straordinaria, che generano
fabbisogno finanziario elevato, dove il coinvolgimento sia dei finanziatori di debt
che di equity, ma anche di tutti gli altri stakeholders, può risultare consistente e
determinante.
Occorre, inoltre, sottolineare il fatto che esse possono produrre effetti di ampia
portata sul processo di creazione di valore (Bigelli e Mengoli, 1999) e sul livello di
rischio, sia in termini positivi ma anche negativi, ma soprattutto in merito al rischio
di default (Cartwright e Schoenberg; 2006), in particolare in un fase di
environmental jolt come quella attuale (Wan e Yiu; 2009).
L’analisi del business plan diventa, difatti, una delle operazioni fondamentali
nell’ambito dell’attività dei fondi di equity per valutare, sulla base anche degli
elementi qualitativi, le opportunità di un’operazione, nonché il profilo di rischio-
rendimento. Per essi, quindi, poter derivare informazioni sulla fattibilità
dell’operazione, in termini economico-finanziari, come tracciare le implicazioni
gestionali che ne possono scaturire e gli effetti sul livello di rischio della stessa,
diventa decisivo sia per la fase decisionale che per quella di comunicazione
(Borello, 2009; Ferrandina e Carriero, 2010; Ford et al., 2008; Stutely, 2008;
Parolini, 2011). Le principali domande di ricerca cui l’articolo vuole dare risposta
possono essere declinate come di seguito indicato.
1. Quali sono le informazioni utili per la valutazione della fattibilità
dell’operazione? Quali sono i driver conoscitivi utili sia nell’ottica del redattore
che del valutatore esterno?
2. Quali sono le informazioni utili per la valutazione del livello di rischio
esprimibile dall’operazione? Con quali driver conoscitivi è possibile per il
valutatore tracciare un’ipotesi di rischiosità del business?
CONOSCERE PER FORMULARE E COMUNICARE LE STRATEGIE: IL RUOLO DEL BUSINESS PLAN 74
Lo schema del lavoro prevede una prima parte che riflette su alcuni capisaldi
consolidati nella letteratura sul processo di business planning e analizza la
metodologia della ricerca. Di seguito si focalizza l’analisi sulle specificità
conoscitive che rispettivamente il redattore ed il valutatore esterno, quest’ultimo
rappresentato dai finanziatori di equity, ritengono utili nel business plan per le
operazioni di M&A, in termini di analisi della fattibilità e del livello del rischio.
Nella terza parte l’ottica si sposta sulle operazioni di turnaround rispondendo ai due
quesiti di cui sopra.
Le considerazioni che seguono tengono anche conto di interviste svolte con
practitioners, sia in ottica di investitore/valutatore che di redattore del documento, i
quali ci hanno consentito di aggiungere aspetti operativi, informativi e comunicativi
rilevanti.
Le conclusioni e i possibili spunti futuri di ricerca sono a chiusura dell’articolo.

2. Metodologia di ricerca

Nelle parti precedenti si è avuto modo di osservare che il business plan
rappresenta un momento basilare in cui la conoscenza per la formulazione delle
strategie da parte del team imprenditoriale si fonde con la necessità di condivisione
delle stesse con un ampio portafoglio di players. Diventa, quindi, estremamente
critico, per il redattore del documento, avere la consapevolezza di quali possano
essere i knowledge drivers per la valutazione della fattibilità e del rischio che il
destinatario del documento si attende di trovare per il processo di valutazione. Il
business plan può risultare, difatti, fortemente condizionato dall’obiettivo per cui
esso è predisposto e dall’interlocutore cui è rivolto: un vivace dibattito, spesso
avvolto da luci ed ombre, si è, difatti, progressivamente sviluppato proprio sugli
elementi conoscitivi basilari su cui gli operatori di venture capital impostano la
propria valutazione.
Il know-how che sostiene il complesso processo di analisi e valutazione
costituisce spesso l’elemento di forza del successo di tali operatori, che quindi
spesso non amano condividere.
Ai fini di poter delineare uno schema degli elementi conoscitivi principali che il
business plan deve esprimere è stata promossa un’indagine qualitativa, condotta
mediante interviste dirette a professionisti con ampia esperienza dal lato della
redazione e/o valutazione del Piano di fattibilità.
Per ciascuna delle fattispecie in analisi (M&A e Turnaround) sono stati coinvolti
due professionisti che da tempo svolgono attività di consulenza sulle tematiche in
oggetto, che vantano nel proprio “portafoglio” un numero elevato di operazioni
condotte e che si siano resi disponibili a confrontarsi su tutti gli aspetti che investono
il loro processo decisionale/investigativo, anche su quelle “strategiche”. Ad ogni
interlocutore è stata inviata in precedenza una check-list sugli argomenti da
approfondire, articolata sostanzialmente in quattro sezioni: elementi di base del
business plan, i knowledge driver per l’analisi della Fattibilità dell’operazione e del
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livello di rischio, Informazioni aggiuntive. Sono state poi condotte diverse interviste
dirette ad ognuno di essi, in parte telefoniche e in parte personalmente, proprio per
riuscire a ricostruire il complesso e delicato processo di analisi e di valutazione, i
parametri di natura quantitativa, ma anche in merito alle considerazioni
strategico/qualitative che sottendono la complessa valutazione.
Per quello che attiene la figura dell’Investitore/Valutatore sono stati intervistati il
Dott. Luciano Anzanello, di Atlantis Partners, ed il Dott. Ottavio Conigliaro, di I2
Capital Partners SpA.
Relativamente al ruolo del redattore sono stati intervistati il Dott. Franco Abbate
del Gruppo Twice - Medinvest S.p.A
2
e la Dott.ssa Alessandra Bechi
dell’Associazione Italiana del Private equity e Venture Capital (AIFI), la quale ha
fornito il suo importante supporto informativo sui contenuti del Business plan in
ottica di strumento di accesso al mercato del private equity. Il Dott. Luciano
Anzanello, ha contribuito anche in ottica di Redattore, in quanto, come operatore di
uno dei più importanti turnaround fund può essere coinvolto anche nel ruolo di
redazione del Piano.

3. La valutazione nelle operazioni di M&A: la fattibilità ed il livello di
rischio

In ambito finanziario, con il termine M&A si individua un’ampia gamma di
attività, di natura anche molto diversa tra loro, che hanno come comune
denominatore l’obiettivo di accrescere il valore di uno o più business già esistenti
(Arnold, 2013; Conca, 2010; Datta et al., 2013; Sadarsanam, 2003), talvolta
promosse per la sopravvivenza dell’impresa (DePamphilis, 2012). Le acquisizioni
sono un fenomeno economico di ampie dimensioni che richiedono mercati finanziari
dinamici e risentono fortemente delle fasi congiunturali, presentando trend fluttuanti
in corrispondenza degli andamenti del sistema economico (Martynova e Renneboog,
2006).
Di particolare interesse, difatti, sono i dati sul volume delle operazioni nel
periodo 2009-2010, in cui le M&A hanno segnato una forte contrazione dovuta,
appunto, alla Crisi Finanziaria Globale, raggiungendo un minimo storico nel 2012
(KPMG, 2013; Wan e Yiu, 2009; Netter et al., 2010). Gli ambiti di ricerca sulle
corporate acquisitions sono molteplici e cross culture, coinvolgendo gli aspetti
squisitamente strategici, quelli procedurali fino ad investire gli effetti in termini di
creazione o distruzione di valore (King et al., 2004; Laabs e Schiereck, 2010,

2
I2 Capital Partners SpA. è una SGR, facente capo alla Intek, che dal luglio del 2007 ha
assunto la veste di fondo di private equity vero e proprio. Il fondo investe in special
situations, sia operating, che non operating. La Atlantis Capital Special Situations S.p.A.
è il primo investitore istituzionale indipendente dedicato alle imprese italiane in
“situazioni speciali”. Medinvest, al momento dell’indagine, rappresentava un gruppo
internazionale specializzato in attività di “merchant banking”.
CONOSCERE PER FORMULARE E COMUNICARE LE STRATEGIE: IL RUOLO DEL BUSINESS PLAN 76
Kwoka e Pollitt, 2010, Gomes et al., 2013). Un’acquisizione, difatti, può aiutare
un’impresa a raggiungere rapide posizioni competitive sul mercato e a garantirsi
particolari vantaggi sinergici dalla combinazione con altre unità (Deutsch et al.,
2011). Diverse ricerche hanno evidenziato a tale proposito, però, risultati
contraddittori: le M&A possono produrre effetti positivi sul valore di mercato delle
imprese target, ma generare sostanziali perdite sul piano contabile e un elevato tasso
di fallimento delle operazioni (Agrawal e Jaffe, 2000; Cartwright e Schoenberg,
2006). Tra le cause di fallimento di operazioni di M&A, riportate in letteratura,
emergono gli errori di valutazione del management, il quale tenderebbe a
sovrastimare le sinergie e a sottostimare i costi di integrazione, e la presenza di un
piano strategico carente o inappropriato (Marafioti, 2005).
La predisposizione del business plan riveste, quindi, un ruolo cardine
nell’ambito della conoscenza interna e della comunicazione all’esterno dei piani di
sviluppo dell’azienda e delle performance attese, in termini di flussi reddituali e di
cassa. Si tratta, indubbiamente, di progetti in cui la stesura di un Piano da parte
dell’impresa acquirente (bidder) è alquanto diffusa, sia per l’analisi strategica ai fini
decisionali che come strumento di comunicazione con gli stakeholders.
Nelle operazioni di M&A l’impresa bidder è chiamata a realizzare un doppio
processo di valutazione, uno di tipo interno e l’altro di ottica esterna. Nel primo
caso, l’analisi di un ampio ventaglio di informazioni ha come obiettivo conoscitivo
di sintesi la quantificazione del livello di fabbisogno finanziario necessario per
sostenere l’operazione, la valutazione dell’impatto in termini di creazione di valore,
gli effetti in termini di risk management nonché la “compatibilità finanziaria”: in
sostanza, la valutazione della fattibilità complessiva del progetto, secondo quattro
livelli: fattibilità imprenditoriale, fattibilità sul piano esterno, fattibilità sul piano
interno e fattibilità economico-finanziaria e patrimoniale (Mariani, 2012a), (tab. 1).
Il quesito cui deve rispondere l’analisi della Fattibilità sul piano imprenditoriale
può essere così sintetizzato: dispone l’impresa del know-how, il management ha
messo in gioco la governance, gli skills adeguati per poter “edificare” il nuovo
progetto? Qual è la qualità del team imprenditoriale e dei collaboratori? (tab. 1).
Soprattutto il valutatore esterno, difatti, prima di intraprendere una determinata
operazione, si aspetta che dal documento emerga chiaramente il fatto che il
management della bidder abbia svolto un articolato e distaccato processo di
autovalutazione focalizzato, appunto, a rilevare i punti di forza e di debolezza,
nonché le competenze chiave da mettere in gioco, affinché in fase di esecuzione del
progetto non si manifestino devastanti vacatio gestionali che potrebbero vanificare i
risultati, a causa di comportamenti improvvisati e impreparati. La presenza di
competenze, di motivazione, dell’aligment tra i differenti attori e la business
strategy costituisce per l’investitore un elemento basilare ai fini della valutazione
della fattibilità. Dall’analisi della tab. 1 emerge, invece, un disallineamento di
vedute tra i due players, in quanto il redattore del business plan considera quasi
scontato tale aspetto, non ritiene opportuno approfondimenti ad hoc,
sottovalutandone la rilevanza conoscitiva per l’interlocutore.

GIOVANNA MARIANI 77
Tab. 1: Knowledge drivers in M&A operations

a)FATTIBILITA’ REDATTORE INVESTITORE/VALUTATORE
1- Fattibilità sul piano esterno
- Mercato, Settore
2- Fattibilità econ-fin.
- Analisi azienda target
- Opportunità di crescita-sinergie
di costo, ricavi, fiscali, finanziarie
- Marginalità,
- Indebitamento
- Prezzo di acquisto, rapporto di
concambio, opportunità di
crescita
- Valore Capitale economico stand
alone ex ante e ex post
- Wacc
- Timing analisi cash flow su base
annuale

Coerenza con assumptions

3 -Fattibilità imprenditoriale
- Qualità del team imprenditoriale e
dei collaboratori
4 -Fattibilità sul piano esterno
- Qual è il mercato, dimensione e
posizionamento competitivo
5 -Fattibilità sul piano interno
- Descrizione azienda target
- Il progetto prevede le risorse
necessarie per la sua cantierabilità?
- Piano tecnico, di marketing ed
organizzativo
6 -Fattibilità econ-fin.
- Il progetto prevede performance
realistiche e potenzialmente
attrattive,
- Timing analisi cash flow su base
mensile
- Prezzo di acquisto e rapporto di
concambio
- Dati transazioni/quotazioni
comparabili
- Ipotesi di way out e capital gains
- Verifica del livello di capital gain,
definire
- Punti di forza e di criticità progetto
a) b) Risk analysis
Rischio di mercato 1) -Struttura del Beta
- Criticità delle barriere all’entrata
- Tasso di crescita
- Concentrazione concorrenza
- Quota di mercato gestita
- Fattori di vantaggio competitivo
- Dimensione dell’impresa
4) Criticità delle barriere all’entrata
- Tasso di crescita
- Concentrazione concorrenza
- Grado di regolamentazione e
pendenze legali
- Struttura dei costi
- Quota di mercato gestita
- Fattori di vantaggio competitivo
- Dimensione dell’impresa
Rischio finanziario ed
economico
2) -Indici di indebitamento
- Quozienti di tesoreria
- Quoziente di disponibilità
- Leva finanziaria
- Free Operating Cash
Flow/Debito
- Indici di rotazione del capitale
circolante
- Ebitda/Vendite
- Ros, Roi
- Investimenti aggiuntivi (CapEx)
5) Indici d’indebitamento
- Leva finanziaria
- Free Operating Cash Flow /Debito
- Leva operativa
- Indici di rotazione del capitale
circolante
- Ebitda/Vendite
- CapEx/EBITDA
- Analisi di previsione del rischio di
default
Rischio di progetto 3) Struttura finanziaria ex-post, NPV,
IRR, BEP
6) Struttura finanziaria ex-post, IRR, BEP,
Multipli del capitale investito

Fonte: ns elaborazione

L’osservazione si estende anche alla Fattibilità sul piano interno (tab. 1) che
l’investitore considera di rilievo strategico per la “conoscenza” del business, mentre
il redattore ritiene sia pacifico che l’impresa bidder sia in grado di gestire il processo
d’integrazione dal punto di vista operativo. L’investitore, d’altro canto, è interessato
a conoscere quali siano i piani, tecnico, di marketing ed organizzativo, che il
management dell’impresa bidder pensa di attuare per il successo e monitoraggio
CONOSCERE PER FORMULARE E COMUNICARE LE STRATEGIE: IL RUOLO DEL BUSINESS PLAN 78
dell’operazione. Parte strategica di questa fase di analisi, per entrambe i players, è lo
status quo della target, che in un primo stato esplorativo avviene unicamente sulle
informazioni disponibili sul mercato, ma che dovranno progressivamente essere
integrate durante la trattativa, fino a giungere ad un completo approfondimento con
la due diligence. L’obiettivo conoscitivo è quello di delineare le opportunità e i
rischi che potrebbero essere generati dall’integrazione. Occorre richiamare
l’attenzione sul fatto che sono proprio le difficoltà d’integrazione a rappresentare
uno dei principali punti di criticità nel processo di creazione di valore nelle M&A
(Weber et al., 2012). In sostanza, nel piano il valutatore si attende di poter rilevare
informazioni in merito anche ai numeri storici di un’azienda, in quanto il passato è
un indicatore del futuro: il finanziatore di equity, infatti, cerca di valutare la
“ragionevolezza delle assunzioni di un trend di crescita cercando conferme, o
smentite, proprio dal passato” (Piana, 2012). Dallo schema si può osservare che
entrambi gli attori ritengono strategiche le informazioni in merito alla Fattibilità sul
piano esterno e quelle di natura economico-finanziaria, aspetti su cui si focalizza, in
genere, l’attenzione del team di redazione. Le analisi del mercato, Fattibilità sul
piano esterno (tab. 1), devono essere alquanto dettagliate per quello che attiene il
settore, ponendo in essere un benchmark con i principali competitors, con
particolare attenzione alle leve competitive, agli eventuali elementi di criticità su cui
agire, soprattutto se l’opzione strategica è di diversificazione delle attività. Si può,
difatti, osservare che l’investitore considera decisiva l’analisi della situazione
competitiva (tab. 1), soprattutto per un’accurata valutazione del rischio di mercato,
come sarà puntualizzato nella parte specifica. Trattandosi di un investimento di
natura complessa il punto di sintesi ai fini valutativi è la parte della Fattibilità
economico-finanziaria, dove si incrociano gli interessi conoscitivi del redattore e del
valutatore, pur con alcune specificità (tab. 1). Si può, difatti, osservare che il
redattore pone l’attenzione sull’esame delle aree di complementarietà e di
sovrapposizione delle unità aziendali coinvolte per la valorizzazione delle sinergie e,
al contempo, sulla quantificazione dei costi di integrazione, tutto proteso ad una
logica di shareholder value (tab. 1). È necessario, infatti, individuare i value drivers
influenzati dalle sinergie, dalla natura e la probabilità di realizzo delle stesse: questa
fase richiede particolare attenzione e cura in quanto, il valutatore è consapevole che,
spesso, come in precedenza evidenziato, il management della bidder tende a
sovrastimare le sinergie o a sottostimare i costi o i tempi d’integrazione. Ai fini di
valutazione interna si tratta, in sostanza, di raccogliere le informazioni che potranno
essere inserite nel calcolo del Valore attuale Netto dell’acquisizione (NPV). Tra i
fattori di criticità richiede un’elevata attenzione il timing dei cash-flows, per
misurare la capacità di servizio al debito che l’impresa potrà garantire (tab. 1). In
corrispondenza all’holding period di mercato si rileva un distinguo tra i due players:
il management ritiene che sia sufficiente un orizzonte di pianificazione annuale,
mentre l’investitore/valutatore esterno riconosce a tale elemento un maggior
contenuto di rischiosità per cui richiede una tempificazione a livello mensile,
soprattutto per il monitoraggio. Tali informazioni, congiuntamente all’analisi storica
della società oggetto dell’operazione e del settore, sono essenziali per definire il
GIOVANNA MARIANI 79
valore stand alone dell’azienda target che, frequentemente, rappresenta la base di
partenza per decidere la convenienza di un’operazione di M&A, le ipotesi di prezzo
e/o del rapporto di concambio, i tempi di intervento e le possibili modalità di
finanziamento.
Dal lato dell’investitore, soprattutto di private equity, le finalità conoscitive sono,
oltre a quelle sopra menzionate, anche rappresentate dalle informazioni sul livello di
criticità dell’intera operazione, per cui nel business plan sono ricercate indicazioni
sui punti di forza e di debolezza che l’impresa bidder potrebbe incontrare e dover
risolvere. L’investitore tende, poi, a riformulare una propria ipotesi in termini di
prezzo e/o di rapporto di concambio, nonché naturalmente a verificare l’exit strategy
(IPO, trade sale, secondary market, etc.) ed il livello di capital gain potenzialmente
realizzabile. Il business plan costituisce un’indubbia valenza conoscitiva anche per
gli altri soggetti in qualche modo coinvolti nell’operazione, quali sindacati, fornitori,
clienti, comunità finanziaria, soggetti pubblici, tutti gli stakeholders il cui ruolo
attivo o, talvolta di opposizione, assunto nell’operazione può essere determinante
per il costo e la concreta realizzazione di un’operazione di M&A.
L’analisi del rischio di un’operazione rappresenta indubbiamente uno dei
processi fondamentali nell’ambito della valutazione di un progetto da parte di un
investitore di equity (tab. 1).
Si tratta di tradurre tutti gli elementi qualitativi, che fanno percepire
un’opportunità come attraente o meno, in un insieme di aspettative quantitative
razionali circa il futuro di un’azienda, per valutare soprattutto il profilo di rischio-
rendimento. Oltre all’impatto sui valori economici, finanziari e patrimoniali
prospettici sopra menzionati, difatti, le operazioni d’integrazione hanno effetto
anche sul profilo di rischio, in termini di rischio di mercato (variabilità dei ricavi), di
rischio economico-finanziario (leva operativa e leva finanziaria), delle società
coinvolte, nonché il rischio di progetto. Aspetto questo che costituisce un elemento
di conoscenza determinante, soprattutto nell’ottica dell’ investitore/valutatore (tab.
1). In merito al rischio di mercato si può individuare un sostanziale allineamento
d’interesse conoscitivo tra i due players: si considerano espressivi i dati sul
posizionamento competitivo e la quota di mercato che la nuova struttura potrà
vantare, i fattori di vantaggio competitivo, le variabili relative alla dimensione
dell’impresa, L’investitore è particolarmente interessato a verificare la presenza di
eventuali spazi di perfezionamento di economie di scala e di barriere all’entrata di
mercato, che potrebbero comportare impegnativi investimenti in fase di ingresso da
un lato, ma garantire elevati margini alle imprese già presenti (tab. 1).
Il valutatore-finanziatore, ritiene, inoltre, che il business plan debba produrre
informazioni anche sul grado di regolamentazione del settore, la presenza di
pendenze legali e sulla struttura dei costi. Diventa, importante, difatti poter gestire
una struttura dei costi elastica, in grado di fronteggiare eventuali “aggressioni” in
termini di price competition. Le informazioni di natura quantitativa devono poi
essere corredate da indicazioni di tipo qualitativo sulla presenza di possibili rischi
che potrebbero annullare gli effetti sinergici, quali rischi di natura organizzativa e di
CONOSCERE PER FORMULARE E COMUNICARE LE STRATEGIE: IL RUOLO DEL BUSINESS PLAN 80
tipo culturale, che nelle operazioni cross-border possono rappresentare i maggiori
punti di criticità.
Sul rischio finanziario si concentra l’attenzione delle due ottiche di analisi, in
quanto la percezione del livello di default arriva a produrre effetti importanti ed
immediati sul costo del capitale, sul grado di affidamento e, comunque, sul processo
di copertura del fabbisogno in generale. A tale proposito, soprattutto l’investitore
(tab. 1-b)-5) potrebbe essere interessato ad un approfondimento sul rischio di default
mediante un’analisi del rischio di insolvenza, attraverso i vari modelli predittivi,
quali lo Z-score di Altman ed evoluzioni successive (Altman, 2000, Altman e Sabato
2007; Poddighe, 2009; Mariani, 2012b).
Il differenziale di rischio prodotto dall’operazione (Zanetti, 2000), sulle strutture
coinvolte, rappresenta un elemento discriminante nella valutazione del NPV (tab. 1).
Ai fini conoscitivi l’analisi s’incentra sul grado di indebitamento dell’azienda
bidder, pre e post operazione, e sul costo del debito; questo emerge tipicamente
dall’analisi per indici inclusa nel business plan. Come rilevabile in tab. 1 i due
profili di analisi sono concordi nell’individuare alcuni indici basilari ai fini della
valutazione. Tra questi si possono menzionare gli indici d’indebitamento e di
gestione del circolante: Debiti/patrimonio netto e il Grado di leva finanziaria, di
solito legati a covenant su finanziamenti bancari, il FOCF/debito
3
, a volte legato a
meccanismi di rimborso obbligatorio su finanziamenti bancari, nonché tutti gli indici
di rotazione del circolante e l’EBITDA/Vendite.
Pareri discordi sono, invece, stati espressi sugli indici di liquidità, di solvibilità e
per il quoziente d’indebitamento finanziario, ritenuti basilari per il redattore ai fini
del processo di autovalutazione, mentre il grado di leva operativa e il livello di
Posizione Finanziaria netto sono considerati determinanti per l’investitore di private
equity.
Per quanto attiene il rischio di progetto, attraverso il Piano si può evidenziare la
relazione tra investimenti previsti e proiezioni in termini di crescita e marginalità dei
flussi di cassa. Dovrà essere analizzata la struttura finanziaria post - acquisizione in
quanto, nell’ottica del redattore (impresa acquirente), ad esempio, l’eccessivo
indebitamento post operazione potrebbe creare danni al nuovo assetto, anche in caso
di business redditizio (tab. 1). Per entrambi i professionisti, i metodi di valutazione
finanziaria più idonei sono l’IRR ed il Break even point (BEP). L’IRR (Tasso
Interno di Rendimento) visto soprattutto dall’investitore come parametro di mercato,
anche se è frequente il ricorso a multipli sul capitale investito, con base Ebit. La
valutazione attraverso il NPV, non è ritenuta necessaria per il finanziatore, mentre il
redattore preferisce svilupparla a parte, non all’interno del Piano.

3
Si ricorda che FOCF è l’acronimo di Free Operating Cash Flow, con il quale rappresenta
l'effettivo flusso monetario (cassa) dell’unità, tenuti in considerazione gli investimenti in
capitale circolante e gli investimenti necessari all'operatività ed al mantenimento /
accrescimento dell'attività nel lungo periodo.
GIOVANNA MARIANI 81
4. Il business plan nelle operazioni di turnaround: la fattibilità ed il
livello del rischio

Dopo anni in cui si è dibattuto su quali potessero essere i driver competitivi, si è
preso coscienza che nel ciclo di vita dell’impresa si susseguono fasi positive di
expansion e fasi negative. Il procrastinarsi nel tempo di una situazione negativa
conduce però allo stato patologico che conosciamo con il nome di “crisi” e che si
manifesta con pesanti squilibri di natura economica, patrimoniale e finanziaria,
nonché organizzativa.
La questione che si pone è, in primo luogo, cosa debba intendersi per crisi, come
possa essere prevista, misurata e, soprattutto, se e come essa possa essere risolta
(Guatri, 1986). Si sono moltiplicati gli studi per la previsione della crisi (Altman
2000, Altman e Sabato, 2007, D’Annunzio e Falavigna, 2004, Hui e Jing-Jing, 2008,
Lee e Yeh, 2004,) e per il suo superamento. Le modalità di soluzione della crisi sono
molteplici e tra queste il turnaround, o risanamento, inteso come difesa e
ricostruzione del valore dell’impresa e di un recupero sostenibile nel tempo della
capacità di reddito aziendale, si trova davanti un mercato in crescita, nel numero di
aziende in sofferenza, in insolvenza o in fallimento (Candelo, 2005, Mariani e
Marsili, 2011; Mariani e Panaro, 2012).
Tale crescita ha registrato delle forti accelerazioni negli ultimi dieci anni, per effetto
di fattori macroeconomici e per l’afflusso di capitali nel mercato del turnaround da
parte di investitori specializzati, i volture funds, per i quali il processo conoscitivo ai
fini valutativi diventa decisivo, con rilevanti implicazioni strategiche e sul rischio.
La redazione del Piano di ristrutturazione/business plan, in questi casi, associa alla
tradizionale funzione di strumento gestionale anche il ruolo di comunicazione del
“cambiamento” verso tutti gli stakeholders coinvolti. Il Piano generalmente
presuppone, a differenza delle altre fasi di vita dell’azienda, un intenso
coinvolgimento anche dei portatori di interessi esterni all’azienda.
La struttura di un business plan/Piano di turnaround per un’operazione di
turnaround (Candelo, 2005; Guatri, 1995) si rende necessario evidenziare alcuni
aspetti salienti per la valutazione della fattibilità dell’operazione. Occorre precisare
che la stessa nuova legge fallimentare
4
nell’art. 67 richiede “un piano che appaia
idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell'impresa e ad
assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria”. Il Piano di soluzione
della crisi ha, quindi, una certa responsabilità in quanto deve “certificare” che sia
possibile risanare l’impresa e che l’obiettivo sia fattibile e fondato su dati veritieri.
Le target ideali, per un turnaround di successo, sono le imprese che possono vantare
una posizione competitiva valida, con un brand e operanti in un mercato in

4
La nuova Legge Fallimentare, ispirata al Chapter 11 della legge fallimentare americana,
ha spostato completamente la questione orientandosi alla creazione di un contesto
favorevole al recupero di imprese in difficoltà ed al mantenimento della loro continuità,
piuttosto che prevedere un inesorabile processo di smembramento, come disciplinato nella
legislazione precedente.
CONOSCERE PER FORMULARE E COMUNICARE LE STRATEGIE: IL RUOLO DEL BUSINESS PLAN 82
espansione. In considerazione di ciò sia il redattore che il valutatore hanno bisogno
di effettuare valutazioni di tipo macroeconomico, in modo da rilevare i trend di
settore, di mercato, la situazione concorrenziale, le opportunità di crescita che
l’impresa in risanamento potrà cogliere.
Occorre precisare che in genere il Piano di turnaround è redatto dal personale
interno all’azienda target, frequentemente supportato, però, da società di
consulenza, vicine al fondo di turnaround, in grado di vagliare con maggiore
lucidità i punti di debolezza e di forza. È rilevabile, a tale proposito, un allineamento
di esigenze conoscitive tra le due visioni sulla Fattibilità gestionale e quella
economico-finanziaria. In merito alla prima fattispecie, occorre individuare due fasi
assolutamente peculiari che generalmente non si riscontrano in situazioni “in bonis”
(Rojas-Arce et al., 2012).
Per il valutatore/investitore occorre, difatti, che siano analizzati i motivi che
hanno portato al dissesto aziendale, sia esso solo finanziario o, nelle ipotesi peggiori,
anche operativo (tab. 2). È necessario valutare attentamente se le cause della crisi
sono temporanee, lasciando aperte quindi chance di riuscita del piano, o strutturali e,
quindi, ingestibili. Occorre prendere coscienza ed esaltare il rilievo strategico degli
eventuali punti di forza che l’impresa può giocare per il Piano di risanamento. Nella
Fattibilità gestionale il valutatore/investitore ricerca una descrizione “veritiera”
della situazione attuale della gestione, le strategie e le azioni da attuare per il
risanamento, gli impatti occupazionali della riorganizzazione.
Nella Fattibilità economico-finanziaria occorre trovino spazio la misurazione
delle perdite subite e l’analisi delle loro caratteristiche (perdite reddituali e perdite di
valore economico) (tab. 2) ma soprattutto la riformulazione dei bilanci “inquinati”
da isterismo da crisi (tab. 2). Una volta definite le azioni da intraprendere sarà vitale
un’attenta analisi dei flussi di cassa previsti e dei fabbisogni finanziari necessari. In
un contesto di tensione operativa e finanziaria, infatti, particolare attenzione va
riposta nella gestione delle poste patrimoniali, sia attive che passive, al fine di non
compromettere definitivamente i rapporti con gli stakeholders coinvolti, già
duramente provati dalla ristrutturazione proposta, la cui collaborazione diventa
essenziale per il buon esito del progetto.
Nell’ambito dell’analisi della Fattibilità economico-finanziaria è confermata
l’importanza di alcune informazioni tipiche come il Fabbisogno finanziario
necessario (tab. 2). In questa parte il Piano contiene indicazioni circa le strategie da
adottare nella fase di emergenza e in quelle successive, con uno scheduling piuttosto
puntuale: il tempo è importante! Le azioni da intraprendere da parte di un fondo
dipendono dalla gravità della situazione: il fattore discriminante in tal senso è il cash
flow.
Nella fase di emergenza, retrenchment, l’obiettivo dell’impresa è la
sopravvivenza, ciò significa principalmente operare tagli per fermare l’emorragia di
liquidità. Anche nel caso in cui la situazione non sia ancora gravissima, limitare le
uscite di cassa è il primo modo per conservare risorse finanziarie da utilizzare per
scopi che possano rendere l’impresa più competitiva.

GIOVANNA MARIANI 83
Tab. 2: Knowledge drivers in turnaround operations

a) FATTIBILITA’ REDATTORE INVESTITORE/VALUTATORE
1) Fattibilità gestionale
- Pianificare l’operazione
(piano di turnaround),
- Mercato, Settore

2) Fattibilità economico-
finanziaria.
- Opportunità di risanamento,
marginalità
- Indebitamento,
patrimonializzazione,
- Capitale economico stand
alone ex ante e Valutazione
ex post
- Timing analisi cash flow su
base trimestrale per 1° anno
e poi annuale, -Analisi
sensitività
- Coerenza delle assumptions
3) Fattibilità gestionale
(piano di turnaround),
- I motivi della crisi e della situazione
attuale
- Le strategie e le azioni per
“cambiare” la situazione aziendale.
4) Fattibilità economico-finanziaria.
- Riformulazione bilanci “inquinati”
- Misurazione Perdite
- Impatti occupazionali
- Costi della ristrutturazione
- Valore Capitale economico stand
alone ex ante e ex post
- Timing analisi cash flow su base
mensile per 1° anno e annuale per 2°
e 3°
- Analisi sensitività con wacc
- Exit strategy
b) Risk analysis
Rischio di mercato 1)- Struttura del mercato:
- Barriere all’entrata
- Tasso di crescita
- Concentrazione
- Quota di mercato
- Fattori di vantaggio
competitivo
- Dimensione dell’impresa
4)- Struttura del mercato
- Criticità delle barriere all’entrata
- Concentrazione concorrenza
- Struttura dei costi
- Quota di mercato
Rischio finanziario
ed economico
2) Autonomia finanziaria
- Indici di indebitamento
- Quoziente di disponibilità
- Leva finanziaria
- Free Operating Cash Flow
/Debito
- Leva operativa
- Indici di rotazione del capitale
circolante
- Ebitda/vendite
5) Indici di liquidità e solvibilità
- Indici di indebitamento
- Riserve/Mezzi Propri
- Leva finanziaria
- Posizione Finanziaria Netta/Ebitda
- Grado di leva operativa
- Indici di composizione
- Free Operating Cash Flow /Debito
- Indici di rotazione del capitale
circolante
- Ebitda/vendite
- Roi, Ros, Investimenti aggiuntivi
(CapEx)
- Analisi di previsione del rischio di
default
Rischio di progetto 3) Struttura finanziaria ex-post
NPV, IRR, BEP
6) Struttura finanziaria ex-post
IRR, BEP

Fonte: ns elaborazione

Controllare il cash flow in timing mensile, per il fondo di turnaround, è decisivo
(tab. 2). Occorre agire sui ricavi e sui costi da un lato e dall’altro sulle attività di
bilancio: se queste ultime sono ridotte scende l’indebitamento e quindi il carico di
oneri finanziari sul conto economico. Una strategia che raramente manca nella fase
di retrenchment è la ristrutturazione del debito per ridurre il peso degli oneri
finanziari sul singolo conto economico, ma soprattutto la riformulazione della
CONOSCERE PER FORMULARE E COMUNICARE LE STRATEGIE: IL RUOLO DEL BUSINESS PLAN 84
gestione del circolante, per un più veloce smobilizzo delle partite. Come indicato
nella tab. 2, sia il redattore che il valutatore hanno sottolineato l’importanza che il
business plan presenti la valutazione del capitale economico stand alone ex ante il
processo di turnaround e la stima del probabile valore ex post, con relativa analisi di
sensitività sulla base degli elementi critici. L’analisi della Fattibilità economico-
finanziaria è completata con lo sviluppo dei bilanci previsionali al fine di verificare
gli effetti che gli interventi di risanamento potrebbero produrre. Il
valutatore/investitore sarà, inoltre, interessato ad un holding period più contenuto,
massimo 2 anni, entro il quale si attende di ritornare a produrre reddito e a valutare il
way out. A corollario del ruolo comunicativo del Piano è necessario definire i
sacrifici eventualmente da richiedere agli stakeholders e proiettare nel breve e nel
medio termine i risultati ottenibili a seguito degli interventi e dei sacrifici richiesti,
per valutare come potrà svilupparsi nel tempo l’eventuale ripresa.
La quantificazione del rischio di mercato è fondamentale, in entrambe le
prospettive, al fine di individuare le forze negoziali in gioco e dove probabilmente si
possono generare i margini. Un’informazione utile a tale scopo, sia per il redattore
(tab. 2) che per l’investitore (tab. 2), è data dalle barriere all’entrata poiché, come
già osservato, se basse, portano necessariamente ad una riduzione dei margini futuri.
Altri aspetti basilari sono la quota di mercato detenuta e la struttura dei costi. Avere
una posizione di leadership permette di ridurre il rischio delle proprie scelte, mentre
guadagnare quote di mercato è particolarmente difficile e richiede
l’implementazione di progetti innovativi ad incerto tasso di rientro. Particolare
attenzione è, per questa fattispecie, l’analisi del rischio finanziario e quindi
l’importanza informativa degli indici di liquidità, solidità e solvibilità. Nella logica
del redattore (tab. 2), l’indice Riserve/Mezzi Propri può essere significativo poiché,
se si prevedono un paio di anni di perdite, è importante avere riserve patrimoniali da
destinare a copertura delle stesse. Entrambi gli operatori concordano nel segnalare
che è il grado di leva finanziaria l’indicatore importante per il rischio finanziario:
con l’indice Posizione finanziaria netta/EBITDA, difatti, è uno dei ratios che le
banche utilizzano più spesso per confermare o revocare le linee di credito (tab. 2).
Altri indici che si ritengono importanti per entrambe le figure di attori sono,
FOCF/debiti, gli Indici di composizione, gli Indici di rotazione del circolante, in
particolare il Costo del venduto sul magazzino, poiché un magazzino a veloce
rotazione aumenta il rischio di obsolescenza delle rimanenze (tab. 2). Anche in
queste fattispecie un approfondimento sul rischio di default mediante un’analisi del
rischio d’insolvenza costituisce un must per l’investitore. L’indice EBITDA/Vendite
ed il ROI sono significativi per rilevare il livello di marginalità dell’impresa.
Riguardo al rischio finanziario si sottolinea che una struttura finanziaria equilibrata è
il lavoro fondamentale del private equity. Anche l’IRR è un parametro fondamentale
per l’investitore finanziario per l’analisi del rischio di progetto: è sulla base di
questo che sono remunerati tutti gli stakeholders che richiedono ritorni piuttosto
elevati, dato il rischio dell’investimento (tab. 2). Con il Break Even Point
l’investitore riesce ad avere l’indicazione sulla difficoltà dell’obiettivo da
raggiungere e a calibrare correttamente la struttura dei costi fissi. Le analisi di
GIOVANNA MARIANI 85
sensitività non sono reputate strettamente necessarie per un investitore in private
equity, le variabili strategiche da sottoporre ad analisi what if sono comunque il
fatturato, la marginalità operativa (EBITDA/Vendite), gli investimenti o
l’andamento del capitale circolante netto.

5. Conclusioni

Come si è avuto modo di anticipare nelle parti precedenti, il business plan ha
attraversato periodi di popolarità alternati a fasi in cui, soprattutto gli accademici, ne
hanno messo in discussione la validità. Occorre ricordare che il business plan ha
preso origine dal mondo operativo e che esso è considerato strumento di lavoro
proprio dai practitioners. Le imprese più strutturate, di maggiori dimensioni e con
management qualificato, in genere, hanno una procedura interna di Business plan
Process. La questione si fa ancora più delicata, invece, per le piccole imprese che
hanno bisogno, soprattutto nelle operazioni di expansion, di attivare nuovi canali di
finanziamento o partnership. È nelle piccole realtà imprenditoriali che il business
plan riveste la sua maggiore utilità, in considerazione del fatto che le nuove e/o
piccole unità, che nel momento attuale costituiscono la parte più vivace del mercato,
anche se più in difficoltà, si contraddistinguono per una cultura finanziaria e
manageriale meno evoluta. Sono esse, però, che spesso promuovono progetti che
investono settori ad alta turbolenza e quindi ad elevato rischio, specie nell’ambito
del life science, dell’ITC, etc. Nonostante la sua importanza, il tema viene affrontato
dagli operatori senza un framework teorico comune, universalmente accettato.
Spesso, addirittura, nell’ambito del team di un singolo fondo coesistono approcci,
metodologie e atteggiamenti sulla valutazione di un business plan, molto diversi tra
loro, il che porta a discussioni non sempre efficaci. A differenza di altri settori della
finanza, infatti, nel private equity esistono pochissimi strumenti teorici generalmente
accettati: è un settore interamente basato sull’esperienza dei singoli, almeno a livello
di chi lo pratica, e gli sforzi di sistematizzazione teorica rimangono confinati nelle
Università. La letteratura si divide tra coloro che non riconoscono nessuna utilità del
business plan per l’imprenditore, soprattutto se in fase costitutiva, e quelli che,
invece, ne promuovono ancora la sua efficacia. Il mondo imprenditoriale in questa
diatriba ha, comunque, ormai metabolizzato l’assioma che il business plan debba
essere riconosciuto come conoscenza per supportare una consapevole formulazione
delle strategie e come strumento per comunicare la conoscenza a tutti i players del
mercato, con il quale si punta a legittimare all’esterno la volontà del business
(Karlsoon e Honig, 2009). Anche se molti imprenditori sono apprensivi e titubanti
nell’approccio al processo di business plan, considerandolo una fastidiosa
incombenza, in molte occasioni si è avuto modo di sottolineare il fatto che i benefici
realizzabili sono elevati (Arkenbauer 1995), soprattutto per quello che attiene la
possibilità di individuare le opportunità ed identificare i problemi al fine di trovarne
le possibili soluzioni, evitando che si generino reali conseguenze negative sulla
gestione o sulla customer satisfaction (O’Connor 1998). Il business plan prima lo
CONOSCERE PER FORMULARE E COMUNICARE LE STRATEGIE: IL RUOLO DEL BUSINESS PLAN 86
odi, poi lo apprezzi!!!! (Mariani, 2012a). Nella realtà, il processo di business plan è
qualcosa di più di un documento, è la manifestazione di una strategia, con il quale si
intraprende un percorso di conoscenza e di sintesi creativa che, prendendo avvio da
una visione innovatrice e da alcune informazioni iniziali, riesce a plasmare la
business idea, non immediatamente reale e realizzabile. I soggetti redattori,
promotori dell’iniziativa, danno vita a un sistema dinamico, a un approccio
permanente, che mette in relazione la visione con l’ambiente di riferimento e con le
risorse necessarie. Si ricorda che le operazioni, soprattutto in caso di M&A e special
situations, si sviluppano in condizioni d’incertezza, per le quali progressivamente
entrano in gioco strumenti più sofisticati per la valutazione. Partendo, difatti, dalla
possibilità di identificare la visione aziendale per arrivare a definire le priorità
strategiche, l’uso di un approccio Balance scorecard, consente di delineare le
prospettive competitive cruciali per l'azienda ed i relativi fattori critici di successo;
con l’introduzione progressiva di modelli stocastici i redattori possono
progressivamente arricchire la capacità di pianificare e di monitorare le iniziative in
condizioni di mercato incerte. Nella nostra analisi si è cercato di dare risposta alle
esigenze di allineamento conoscitivo, in termini di Fattibilità dell’operazione e di
livello di rischio, del redattore e del valutatore, evidenziando i knowledge drivers su
cui i due players fanno leva. Da parte del fondo l’analisi del business plan
rappresenta, difatti, un momento analitico fondamentale per dare alla decisione di
investimento una base razionale coerente con il mandato fiduciario dato dai
sottoscrittori del fondo. Come riportato da uno degli analisti che hanno partecipato
all’indagine chi ben comincia è già a metà dell’opera. Non bisogna confondere
questa finalità con una pretesa di indovinare esattamente il futuro - non è a questo
che serve il business plan - ma piuttosto una dichiarazione programmatica circa le
azioni strategiche da compiere in azienda. L’importante, difatti, è che il processo di
planning sia dinamico, le strategie devono essere riformulate man mano che si
arricchiscono le informazioni e gli output devono sempre essere rivisitati in ottica
critica, evitando un’eccessiva “miopia emotiva”. Occorre ricordare che il business
plan non è solo un piano economico-finanziario dedicato a valutare la convenienza
di un progetto, ma è il racconto del futuro di un’idea (Baccarani, 2009), dove le
persone sono il punto centrale del successo. Nel discutere il business plan con il
management che gestirà l’azienda dopo l’investimento, il fondo in effetti sta
innanzitutto analizzando le persone, valutandone la visione strategica, la capacità di
tradurre l’idea in assunzioni e decisioni coerenti, la loro disponibilità al confronto e
alla condivisione del ragionamento in modo strutturato, la capacità di adattamento
alle evoluzioni inaspettate che certamente ci saranno.
In definitiva, si investe sulle persone più che su uno specifico business plan, che
però è un ottimo strumento per “conoscerle”: il compito del redattore è quello di
dare reale espressività ai molteplici numeri, importanti, ma anche volubili: in
sostanza, un business plan è efficace se il redattore riesce a dar vita ai numeri! È su
questo obiettivo strategico del processo di businees planning che si possono ancora
scrivere interessanti riflessioni di tipo cross-culture, in grado di valorizzare le
componenti antropologiche, per esaltare i risvolti strategici e di performance

GIOVANNA MARIANI 87
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